Così anche la Casa Bianca apre, al suo interno, un orto. Il nuovo Presidente trova spazio, nei suoi curatissimi giardini pieni di storia, per un orto. Sarebbe davvero riduttivo interpretarlo come captatio benevolentiae nei confronti di un fenomeno – quello dell’orto urbano – che va venendo di moda. In realtà è stato intercettato un trend sociale e di costume di grande portata.
Già nei mesi scorsi avevamo indicato come, anche nel nostro Paese, stesse prendendo consistenza la conversione di parti del territorio urbano (dai giardini condominiali ai terrazzi, dalle aiuole a spazi dismessi) ad orto. Si coltiva di tutto: dalle erbe aromatiche nei siti più ristretti a molti diversi ortaggi laddove c’è più spazio. Non è soltanto il riflesso di una congiuntura particolarmente sfavorevole e delle crescenti difficoltà di molte famiglie ad arrivare alla fine de mese. Il risparmio è certamente il driver più consistente una sorta di atteggiamento autarchico di impronta recessiva: una ciambella di salvataggio se la crisi dovesse aggravarsi. In realtà le motivazioni sono anche altre oltre a quelle di natura hobbystica. La crisi ha finito per esercitare un effetto maieutico ad un incisivo mutamento latente nei confronti del modo di mangiare, dei prodotti agricoli e anche della vita rurale. La necessità in molti casi si è tramutata in virtù: l’avvio di un rapporto nuovo con la terra, con la natura, con il territorio, con il succedersi delle stagioni. La riscoperta in taluni casi di sapori antichi, delle valenze dell’imperfezione e la diffidenza verso prodotti esteticamente attraenti e tutti perfettamente uguali ed ugualmente insipidi, i rischi di un’agricoltura industriale. Forse, per la prima volta, la contraddizione insita in questo binomio.
Ma il vero salto di qualità si potrà realizzare non destinando soltanto spazi residuali/degradati di territorio urbano ad orto ma creando una cintura verde destinata ad attività agricola, gestita dai cittadini, intorno alle città. Potrebbe essere la realizzazione più coraggiosa ed emblematica insieme, considerando il tema dell’Expo ( "feeding the planet"), per Milano 2015. Non è affatto utopia : già adesso esistono progetti in fase di realizzazione ad esempio dall’architetto italiano Cibic in Turchia ed in Cina – in diversi contesti urbani. Appezzamenti di terreno raggiungibili in poco tempo da dare in locazione, con il vincolo dell’attività agricola, ai residenti delle città, per immergersi in una realtà del tutto diversa. Una agricoltura ecocompatibile, rigorosamente organica, con pannelli solari che garantiscano l’energia necessaria. Un polmone verde che certamente non renderebbe le città alimentarmente autosufficienti ma che consentirebbe ad una parte dei cittadini di riscoprire il piacere della coltivazione e del rapporto con la terra. Fornendo così un’offerta socialmente qualificante alla crescente disponibilità di tempo libero, una nuova dignità alla vita rurale, un nuovo rapporto con il territorio. Prevedendo anche spazi pubblici con costruzioni leggere e percorsi comuni dove si possa cucinare, pranzare assieme con i prodotti dell’orto, conversare, passeggiare , trascorrere un tempo scandito dai ritmi della natura e delle stagioni e non dalla concitazione sociale.
Se l’orto di Obama diventa un modello per tutte le cittàDI GIAMPAOLO FABRIS