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lunedì 18 febbraio 2008

Giovanni Papini, Un uomo finito

Giovanni Papini, Un uomo finito

* Tutta la mia vita è fondata su questa fede: ch'io sia un uomo di genio. Ma se invece sbagliassi, se fossi invece un di quei tanti orbi che prendono le reminiscenze per ispirazioni, i desideri per opere, e fossi, in una parola, un imbecille? Cosa ci sarebbe di strano? E' forse la prima volta che un imbecille s'immagina di essere un eroe, che un letterato si crede un poeta e che un idiota si mette i panni del grand'uomo? Non è possibile, mille volte possibile, ch'io non sia altro che un frigido lettore di libri, riscalducciato ogni tanto dai focolari altrui, reso spiritoso dallo spirito degli altri, e che abbia scambiato il sommesso borbottio di un'anima ambiziosa col gorgoglio di una vena pronta a scoppiare e sgorgare, ad abbeverare la terra e a rispecchiare il cielo?

* Più ci penso e più la cosa mi sembra verosimile e naturale. Chi mi dà il diritto di sperare in me e nel genio? Quel che ho fatto? Ma s'io sono il primo a rinnegarlo e a disprezzarlo! Risciacquature letterarie di tutti i paesi, sfoghi notturni di un farneticante, giochi di destrezza intellettuale... Nulla di più, nulla di meglío! Tutta la fede del mio genio sta nell'aspettativa lunga e inutile di un colpo d'ispirazione travolgente e trionfante, sta in questa mia irrequietezza perpetua che di nulla si contenta e di tutto ha schifo, fuor che di un mondo celestiale e platonico che a momenti mi par d'intravedere tra le nuvole del mondo vero; sta in quelle illuminazioni via subito volanti; in quelle tenui mosse liriche, in quelle rapide immagini tramutantesi subito in frasi felici che spesso mi passan per l'anima quando penso senza guardare, quando traverso di sera i miei ponti, tra il fiume e il cielo tutti tremanti di luce.

* Ma questo che prova? Il malcontento è cosi spesso una scusa della più clorotica debolezza! L'ambizione della gloria è talmente comune anche nelle anime più indigenti! E tutti quei brevi sogni fantastici non arrivano a esser la ventata uraganesca che spazza il mondo e solleva gli uomini verso gli angeli e le stelle; tutte quelle impressioni slegate, quelle ídeine scompagnate, quegli zampilli ricacciati subito in basso, quei corti spunti, quelle espressioncelle che non riescono a organarsi, a fondersi in un capolavoro, in un'opera piena e compiuta, non contano nulla.

* Ci vuole ben altro per avere il diritto di dar del tu ai sovrani creatori e di salire sulla torre per sputare o piangere sulla processione dei pettoruti soddisfatti. Le fuggenti scintille, i fochi fatui, le fosforescenze ingannevoli, i bagliori velati, i barlumi lontani, le scintille sorte e spente in un istante non sono la fiamma - son promesse, tentazioni lusinghe, son l'esca sempre rinata della vanità, sono il conforto estenuante del maledetto infecondo, sono i guizzi dell'agonia di un aborto. Non bisogna sperarci. Meglio sarebbe, anzi, che non ci fosse nulla.

* Quegli sbuffi di fiacca genialítà sono il marchio di infamia e di tortura dell'uomo di mezzo - di colui che non è bestia perfetta né genio supremo, che non è pianta annosamente vegetante, né anima furiosamente creante né sordo pacco di materia, né colonna di fuoco innanzi ai popoli. Sono il mediocre, l'infame mediocre che odio con tutto l'animo; son quello che non sarà niente mai più, quando il cuore si fermerà e i polmoni si gonfieranno per l'ultima volta.

* Forse fui qualcosa, tempo fa per qualche momento; forse spesi tutto il genio che mi fu dato in una sola notte, in una sola partita di quel giuoco ch'ío non so. E ora son qua come un ebreo che abbia assaggiato l'uva della terra promessa, in un giorno di affrettata vendemmia e sia rimasto solo e colla bocca secca in mezzo al polveroso deserto - sono come chi sta sospeso tra il cielo e la terra: troppo corpulento per salire alle stelle e troppo etereo per raspare tra la melletta. Sedimenti di cultura, reminiscenze di poeti, brulichio di pensieri fanno di me un uomo inadatto alla solida vita del pratico e del meccanico e non son bastati a rendermi degno di quella di re delle menti.

* Non avessi almeno provato mai, neppur da lontano, neppur per un attimo, la spasimante gioia della creazione! Oppur fossi nato e rimasto, risolutamente e definitivamente, un dolce imbecille senza coscienza, un modesto cretino senza rimorsi, un buon idiota senza pretese! Invece no. So che sono un imbecille, sento d'essere idiota e ciò mi leva fuori dagli idioti interi e contenti. Son superiore fino al punto di capire che non sono abbastanza superiore e niente più. Forse, coll'andar degli anni, la mia imbecillità sarà più profonda e sarò allora, se non più felice, meno tormentato. E spero di tornare albero o sasso e di giacer finalmente nella beata incoscienza del tutto.

Maurizio Cattelan

«Mi vergogno. Non c'è molto da dire. Voi mi premiate, mi concedete questo riconoscimento, e io mi sento un ladro, che vi deruba della vostra fiducia. Eppure, prima che cambiate idea, non posso fare a meno di accettare le vostre lusinghe».
Così è cominciata la lectio di Maurizio, «scritta di suo pugno» (ovvero da altri), o meglio: «insieme a un amico e rubando qualche frase qua e là».
«Ho molte ragioni per essere imbarazzato», ha proseguito Maurizio, «a volte credo persino che il mio lavoro incarni alcuni valori dei quali dovremmo essere imbarazzati. Ma l'arte è uno specchio: ci restituisce l'immagine di ciò che siamo, o di ciò che diventeremo». Per concludere: «La vergogna è un sentimento sano e anche ingiustamente disprezzato».

La malinconia, quella vena un po' drammatica, più spesso tragicomica che caratterizza molte opere di Cattelan e che quasi scompare quando si ha a che fare con l'eterno ragazzo in carne ed ossa – sempre pronto a ridere e fare festa, come ha dimostrato anche nei goliardici festeggiamenti con cui gli studenti di Trento hanno accolto la sua laurea – ma che riemerge nelle irrinunciabili fughe, nei mascheramenti con i quali si sottrae a interviste e contatti che risultino, sia pure da lontano, “professionali”, affiora da queste parole.
Fino ad esplodere in un crescendo depressivo:
«Io, senza gli altri, non sono nessuno. Sono davvero vuoto».

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