non-progettazione un altro testo "frontiera" sulla progettazione che terremo presente.
La sensazione-sospetto, per molti, è che da Williams in avanti il fare
poesia non differisca molto dal fare tout court: se la poesia si è
dissolta dalla prosa del mondo perché non assumere la prosa del mondo a
poesia?
Williams invece mette in discussione la liceità della poesia come
processo di esplicitazione caotica e casuale dell'io lirico, e quella
dell'assunzione del linguaggio come registrazione, che vi si omologa,
di qualsiasi atto liberatorio da costrizioni esterne. Nega che
qualsiasi tipo di « scrittura» sia operazione corretta dal punto di
vista etico e politico, né tantomeno che la poesia sia utilizzabile
come momento (secondo l'ipotesi romantica) di sincronizzazione dell'io
(in positivo o - e non fa nessuna differenza in negativo) con il cosmo
dato o immaginato.
Piuttosto la poesia (e lo attesta l'opzione per un discorso metonimico
contro uno metaforico, soprattutto in Al Que Quiere!, ma già in molte
parti di The Tempers), è ipotesi « tecnica» di costruzione di uno
spazio geometricamente e architettonicamente articolato (costruito per
l'uomo, si noti bene, come una «casa» S.E. p. 177) e l'artista, come
per Poe, è «ingegnere» (S.E. p. 35) che produce «stratagemmi» (S.E. p.
293), «oggetti» altri da sé. (I.AG. p. 294 e sgg.).
La poesia inoltre non è, come si diceva, momento liberatorio, o lo è
solo nella misura in cui essa stessa si libera dalla « tradizione» che
l'ha preceduta (le costrizioni formali fini a se stesse che sottendono
una volontà di costrizione culturale) e cosi facendo si libera da se
stessa e assume a nuovo imperativo categorico formale e/o tematico il
rifiuto della contemplazione dell'io lirico nell'atto di rispecchiarsi
negli aspetti «più eccessivamente opportuni» (leggi: «attesi », I.AG.
p. 305) del mondo in cui vive.
Ancora una volta, l'esempio per Williams viene da Poe. Infatti in
contrapposizione all'ipotesi «romantica» secondo cui l'uomo fuggiva la
società alla ricerca della propria perduta integrità morale, dentro la
natura, e sublimava, così facendo, la propria infelicità, « in
solitudine »,E.A. Poe aveva progettato modelli di scrittura (in questo
caso per Williams la scelta formale è politica) in grado di indicare e
accelerare il processo di rottura dell'atto letterario americano nei
confronti della tradizione e della propria funzione-immagine,cioè nei
confronti di se stesso. Poe aveva infatti scelto di assumere la città
(località) e l'io a momento d'incontro - scontrotra forze di segno
contrario indissolubili (la « località» contro e verso l'individualità
e viceversa), ribaltando in questo modo le aspettative del proprio
pubblico a differenza, ad esempio, di quanto aveva fatto, perlustrando
l'ovvio, J.F. Cooper.
In questa direzione intende operare Williams. Costretto a confrontarsi,
come d'altra parte facevano gli altri, con la bancarotta economica e
ideologica del primo 900, cerca di evitare l'ovvio: cioè la
riformulazione, nell'ambito della poesia, della « fuga », o dentro la
«letteratura» (secondo l'esempio di Pound, Eliot e dei Fugitives) o
dentro immagini di nuova « materialità», ad esempio quella della
«città» (New York) assunta a nuova metafora « positiva »: il « ponte»
di Crane che si propone di ripercorrere la storia, ma non fa altro che
rimetterla tra parentesi, rienunciando le valenze «mitiche» del caos.
Williams vuole liquidare miti, mitologie, linguaggi mutuati e non,
ricominciando sempre da capo; propone un io lirico che si riconosce
nello squallore delle città, nel banale, nella bipolarità della
dimensione naturale (i fiori cioè, ma anche le radici e il fango),
nella depressione, vi si compromette fino in fondo, nella imagery e nel
linguaggio.
In tale senso, al di fuori cioè del sogno, lontano da una facile
assunzione di una dimensione «utopica », dell'io che si atteggia a
spazio privilegiato del discorso in versi, la poesia registra la
dilacerazione dell'io nei confronti dell'io, e la dissonanza del
proprio discorso nei confronti della tradizione, in altre parole della
«poesia» tout court: non è forse vero infatti che, nata come monologo,
preghiera tra sé e l'altro (il non dato cioè, nelle varie versioni di:
dei, dio, universo),la poesia si era trasformata in inno dell'io a se
stesso, come unico punto di riferimento della propria disperazione
(Whitman che canta ed ama « se stesso », perché non riconoscendosi più
in niente, propone di riconoscersi in tutto e legge il suo corpo come
l'America e l'America - piagata - come il suo corpo)?
Williams va un passo oltre: radicalizza l'operazione whitmaniana,si
guarda in faccia e si riconosce nelle «cose », perché in esse legge il
momento di condizionamento primario dell'esperire individuale.
Come aveva insegnato Duchamp. Il discorso si focalizza cioè sull'«
apparato» materiale delle «Cose» attraverso le quali l'individuo si
esplicita; la composizione « Istruzioni» tra le più famose e
antologizzate di Williams è un discorso non su un funerale, o sulla
morte, o sulla solitudine dell'io, ma su un carro funebre intorno e
dentro il quale si svolge la poesia; come «Buona notte» che non verte
sul sogno (la visione delle tre jeunes filles en fleur), ma sul
lavandino e sul prezzemolo, su una cucina, la sera. Non perché siano
«poetiche », ma semplicemente perché esistono e perché ad esse è legato
l'esperire dell'io lirico.
La «poesia» cioè è corollario, non esperienza subliminale dell'io che
acriticamente si riconosce nell'impoetico, ma che lo ri-conosce,
misurandovisi e accentuandone i meccanismi di condizionamento, secondo
un processo di disvelamento e analisi della spazialità totale delle «
cose », verso e contro l'uomo, che l'indirizzo figurativo «
Precisionista », mutuandolo attraverso Duchamp e i cubisti, farà, di lì
a qua1cheanno suo.
La difficoltà dell'impresa giustifica, accanto a poesie derivative,
come si diceva, sul modello di Pound, Browning e Milton, la presenza di
una serie di componimenti (tra gli altri «Cicoria e margherite »,
«Canzone d'amore », «Eroe» e «El hombre ») in cui la «parola» tenta di
tradurre l'energia fisica, i nodi della passione e il mistero del
non-significato e non-traducibile «Tramonto d'inverno» e «In porto »).
Il discorso registra nella propria incisività e lapidarietà la forza
e/o solitudine dell'individuo, senza cedimenti retorici: in «
Preludio», ad esempio, la sintonizzazione con il cosmo è registrata nei
suoi aspetti meno magniloquenti. E l'attenzione è simultaneamente
focalizzata sulla parola ipoteticamente assunta quale verbum (capace di
registrare il cosmo) e sulla sua negazione: in altre parole Whitman
contro e a confronto con 1'« Armony Show»; l'utilizzazione della parola
come tramite correlativo della «cosa» e il dubbio-certezza della
propria inadeguatezza a conoscere se non attraverso una dissoluzione
dei modi tradizionalidi registrazione «letteraria» della realtà; la
scelta cioè di perlustrare simultaneamente la realtà e i modi di
traduzione della realtà, negando alla sintassi «figurativa»)
tradizionale la propria funzionalità, come in «Figura Metrica ».
Di qui la «non-eroicità» del reale, perché al di là della superficie,
dell'ovvietà, un'operazione di scavo, di registrazione delle forme,
evidenzierà quale humus primario, la debolezza «A mo' di scusa»),
l'epica antiepicità dell'esistere «Istruzioni»), lo squallore, come nei
quadri di Eduard Hopper, delle strade vuote e il silenzio, il desiderio
di uscire dalla propria casa trascinandosela dietro e la necessità di «
parlare » la realtà corposa della città «
L'operazione di Williams si muove allora lungo le coordinate del
progetto poetico di Whitman ma senza sentimentalismi, con il coraggio
dello squallore, (come vorrà più tardi Ginsberg), e la certezza che la
sovrapposizione del «sogno» (immaginazione-poesia) alla realtà non deve
signifìcarne una lettura distorta, ma una modificazione, attraverso
l'offerta di modelli di lettura alternativi.
In questo senso la storia entra, in negativo, nella città, nella vita
delle «personae» che le poesie toccano. In genere attraverso le figure
femminili «
Le immagini degli stracci, degli steccati, delle rimesse nei cortili
parlano 1'« altra» America, raccontano l'America che Stieglitz
fotografava; avvicinati in modo puritanamente «precisionista», a un
passo brevIssimo dalla ipotesi iperrealista di lettura della realtà, si
contrappongono ad una realtà miticamente positiva, «bella », di cui
denunciano l'assenza.
Sottolineano lo squallore dell'esistenza dell'artista «McB »), contro
la finzione del sogno, degli scantinati fetidi contro il sogno ad occhi
aperti «Keller Gegen Dom» ), del concreto contro 1'astrattezza di un
liberismo qualunquista «Ritratto di una donna a letto »).
La consapevolezza che è giunto il momento di liquidare definitivamente
un'ipotesi esperienzale «romantica» si accompagna al sogno che la
realtà possa essere ancora posseduta dall'io lirico individuale e
individuato attraverso la parola.
Williams cioè continuando a farla nega la possibilità di fare arte,
secondo la lezione dell'avanguardia storica, e così tacendo registra la
propria prigionia dentro al lInguaggio, con interessanti e coraggiose
sbandate all'interno della poesia.
L'ipotesi ultima è che la resa fictional della realtà sia più vera del
vero e che i prodotti dell'immaginazione coartata al reale siano più
raccapriccianti del ,vero, «bambina i tuoi petali si arriccerebbero!»
si legge nella composizione intitolata «L'orco») e la donna, posseduta
attraverso la poesia è «foglia secca» perché, al di là della sua
bellezza, il paesaggio in cui si colloca, la deturpa. La lettura in
profondità del mondo ne rileva gli scompensi qualitativi e denuncia -
come nell'ipotesi iperrealista - l'assenza di una linea di separazione
tra «sogno» e realtà: non perché il sogno (la poesia) abbia sostituito
il reale ma perché il reale ha «invaso» anche il sogno, cosicché la
dimensione onirica non si configura più come dimensione alternativa al
reale, ma come registrazione deformata dei dati del reale.
L'intelligenza con lucidità registra il «grottesco» nel reale e in
quanto si suppone « altro» rispetto al reale: al di là del gioco
dell'ironia, il mostruoso, la realtà. Lo scrittore registra la
dissoluzione del proprio io lirico nelle cose, la deformità polivalente
ma irreversibile del proprio punto di vista «L'orco»), la provvisorietà
permanente delle proprie scelte lessicali.
E la disarmonia delle opzioni tematiche sta ad indicare, secondo la
lezione di Duchamp, la teorizzazione della non-scelta, ossia la
impossibilità di una scelta che prescinda dal « nuovo-orrido »: la
malizia, lo squallore di rapporti « sentimentali» asfittici, la
solitudine, il « mostruoso» appunto, da cui sembra, non salvarsi
nessuno, (i «figli del coroner », la «piccola figlia dell'omicida »), e
che pare aver intaccato e plasmato totalmente il reale. La poesia si
trasforma in una grossa finzione, terrificante, che come i musei delle
cere disvela appunto il «mostruoso» del mondo, dentro e contro cui
Williams proietta i suoi «sogni ».
La poesia si è davvero definitivamente dissolta nella prosa del mondo:
partito da un intento epico, Williams ha finito per disvelare
l'anti-epicità della realtà americana, passando attraverso l'esperienza
dell'avanguardia storica. Dentro la dannazione della poesia, ha
pubblicizzato (come Poe) la propria disperazione e le «cose» che di
tale disperazione sono correlativi-condizionanti.
Tutt'al più il rischio che Williams corre è quello della contemplazione
dell'oggetto che, in quanto esibizione e illustrazione dello stesso, a
volte finisce per pubblicizzare appunto le « cose» piuttosto che le
loro strutture profonde.
Che è un rischio, questo ultimo, corso da molti, perché qualche volta,
l'avanguardia che si leva «contro la mercificazione estetica vi si
precipita dentro».
La poesia infatti non cancella ma «sposta », uno dopo l'altro, gli
«oggetti », ne muta la prospettiva in rapporto allo sguardo, disvela
angolature diverse, pieghe nascoste, intarsi e fenditure, lucentezza e
disegno, ruggine e polvere; sollecita lo sguardo, lo dirige, lo mette a
fuoco, così da produrre, senza volerlo e senza che ce ne si renda
conto, 'al proprio interno, un momento di scambio tra immagine e
sguardo, tra la «passività» degli oggetti e la tensione/attenzione
dell'intelligenza. Che farci? D'altra parte Williams aveva sostenuto
che per evitare di morire è necessario evitare che l'immaginazione sia
posseduta dalla morte, ma non è colpa della poesia se gli oggetti, le
merei non sono più « rimuovibili » neppure dalla fantasia:
«La bomba parla. / Tutte le repressioni, I dai processi per stregoneria
a Salem / ai più recenti / falò di libri: / sono la confessione / che
la bomba/ è entrata nella nostra vita / per distruggerci ».
Nota: by BARBARA LANATI, William Carlos Williams"
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